neuroscienze percezione comportamento
Perché la mente
divaga durante la concentrazione
La difficoltà di mantenere focalizzata l'attenzione, a lungo e in modo
continuativo, sembra legata al fatto che, quando ci si concentra su qualcosa,
diminuisce drasticamente la capacità di rilevare cambiamenti, anche vistosi, nell'ambiente,
capacità che viene ripristinata da piccole pause di "distrazione". Lo
ha stabilito una ricerca che ha sviluppato una tecnica per rilevare, in
continuo, le fluttuazioni dell'attenzione (red)
La concentrazione ha un prezzo
potenzialmente elevato, ed è il motivo per il quale, per circa metà del tempo
in cui siamo impegnati in un compito, la nostra mente tende comunque a vagare.
E’ questo il risultato di una ricerca, condotta da
Marlene R. Cohen, dell'Università di Pittsburgh, che firma, in proposito, un
articolo pubblicato su “Science”. Studiare come le fluttuazioni di attenzione influenzino il comportamento
è complesso perché è molto difficile stabilire se un particolare errore
nell’affrontare un compito sia provocato da un calo di attenzione o perché il
compito supera le capacità del soggetto. Cohen ha cercato di risolvere il
problema progettando un esperimento in cui ha seguito l’attività dell’area
corticale V4 del cervello, che codifica le informazioni visive, in un gruppo di
scimmie, addestrate a rilevare e ad anticipare piccole modifiche sullo schermo
di un computer. "Per misurare ciò che accade quando la mente di un
soggetto vaga, abbiamo dovuto registrare contemporaneamente l’attività di più
neuroni", ha detto Cohen. Usando una nuova tecnologia, che ha permesso di
monitorare l’attività di 80 neuroni alla volta, i ricercatori sono riusciti a
produrre una “fotografia istantanea” delle informazioni disponibili a un
animale in un dato momento, individuando così il centro della sua attenzione
nel corso del tempo. I risultati hanno dimostrato che l'attenzione delle
scimmie vagava, e che queste fluttuazioni influenzavano profondamente le
prestazioni degli animali. Non sorprendentemente, i momenti in cui la loro
attenzione si indirizzava a un particolare, per esempio l'orientazione di un
gruppo di righe sullo schermo, la capacità di accorgersi di variazioni anche
minime nella scena miglioravano decisamente. Tuttavia, a questo
miglioramento corrispondeva un deciso calo nelle prestazioni relative al
riconoscimento di altri cambiamenti. Variazioni pure macroscopiche in altri
gruppi di righe o punti, anch'essi sullo schermo, passavano inosservate. In
altri termini, concentrarsi su qualcosa rischia di assorbire tutte le risorse
attenzionali, distraendole dal monitoraggio del contesto, mentre l'attimo di
distrazione permette di fare attenzione a quello che sta intorno. Questo
apparente paradosso, fastidioso per uno studente alle prese con un problema
matematico, ha verosimilmente un'origine evolutiva: evitare di farsi cogliere
di sorpresa da qualche predatore mentre si è intenti a controllare
qualcos'altro. Anche il metodo messo a punto per realizzare la ricerca e
riuscire a seguire gli spostamento di attenzione delle scimmie riveste un
notevole interesse, potendo essere adattato per seguire fluttuazioni non solo
dell'attenzione, ma anche di altri processi cognitivi. Un passo
importante, ha concluso Cohen, per imparare come i diversi stati mentali
siano codificati nelle varie aree cerebrali, come queste comunichino fra loro e
come siano correlati alla percezione.
(10 ottobre 2012)
NR
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