ARTICOLO
SCIENZAINRETE: COMUNICAZIONE
Open access, il nuovo paradigma Pietro Greco
Com. e
divulgazione scientifica
Paolo Rossi, lo storico delle idee scomparso a inizio d’anno, sosteneva che
la scienza moderna è nata, nel Seicento, abbattendo un paradigma: il «paradigma
della segretezza». Comunicando tutto a tutti. E consentendo a tutti di
essere critici di tutti. John Ziman, un fisico teorico ed esperto del «lavoro
degli scienziati», come recita il titolo di un suo libro, sosteneva che la
scienza è un’attività sociale che tende a raggiungere un «consenso
razionale d’opinione» sul più vasto campo possibile. L’attività scientifica ha
due dimensioni: una privata (osservare la natura, elaborare spiegazioni),
l’altra pubblica (comunicare i risultati dell’indagine, sperimentale o
teorica). La seconda parte è altrettanto importante della prima. Non c’è
scienza senza comunicazione della scienza. E infatti il sistema di comunicazione è l’istituzione
sociale fondamentale della comunità scientifica. Istituzione caratterizzata
dalla sua totale trasparenza e accessibilità. È tenendo conto di queste due
assunzioni che, probabilmente, la Royal Society di Londra ha
licenziato, nelle scorse settimane, il rapporto Science as an open enterprise, redatto da un vasto gruppo di lavoro, diretto
da Geoffrey Boulton, professore emerito di geologia dell’Università di Edimburgo. Il
rapporto è chiaro fin dal titolo: la scienza è e deve essere un’impresa
aperta. L’indagine trasparente è il suo cuore pulsante. La comunicazione
pubblica delle teorie scientifiche, e dei dati sperimentali e delle
osservazioni su cui si basano, consente a tutti di analizzarle, farle proprie,
criticarle, rigettarle del tutto o utilizzarle per nuove indagini e per
produrre nuova conoscenza. I successi della scienza dipendono dalla sua potente
capacità di autocorrezione. E la potente capacità di autocorrezione della
scienza, ricorda la Royal Society, dipende, a sua volta, dalla totale
trasparenza del suo sistema. Per lungo tempo il sistema di comunicazione della
scienza si è basato sull’uso di riviste (con peer review, con
analisi critica ex ante da parte di colleghi esperti dell’autore) in
abbonamento. Il primo esempio storico sono le Philosophical
Transactions, pubblicate, a partire dal 1665, proprio dalla Royal
Society. Ebbene, oggi ci sono quattro fatti a imporci di ridare forma per
conservare la sostanza del valore e della prassi di «comunicare tutto a tutti».
Il primo è l’enorme crescita della comunità scientifica: in poco più di
un secolo il numero di ricercatori è aumentato di due ordini di grandezza,
passando da circa 80.000, alla fine del XIX secolo, agli oltre 7 milioni
attuali. La crescita è stata accompagnata, negli ultimi anni, da una rapida
internazionalizzazione. Sia nel senso che si fa scienza in molti più paesi, sia
nel senso che fanno scienza sempre più gruppi di persone provenienti da paesi
diversi. Tutto ciò ha portato a un incremento enorme della comunicazione: sia
nel numero di articoli pubblicati, sia nel numero delle riviste che li
pubblicano. Ma, combinato con lo sviluppo delle tecnologie, ha comportato un
aumento ancora più esplosivo della quantità di dati prodotti e conservati. Il
secondo fatto è l’enorme cambiamento nelle tecnologie della comunicazione.
Ora, con i computer e le reti di computer, è davvero possibile comunicare tutto
a tutti in tempo reale. Tuttavia, a ostacolare la comunicazione di tutto a
tutti, ci sono gli altri due fatti. Il primo è la difficoltà di
accesso alla comunicazione. È impossibile, sia per problemi di spazio
fisico, sia per problemi di costi di abbonamento spesso esorbitanti, che una
qualsiasi istituzione possa allestire biblioteche capaci di contenere tutta la
comunicazione scientifica. Il secondo ostacolo è la richiesta delle imprese
private che, ormai, finanziano larga parte della ricerca nel mondo, ma anche di
molti stati, per motivi di sicurezza, a tenere segreti, piuttosto che a
comunicare i risultati della ricerca. Questi fatti sono in
contraddizione tra loro. Ed è giunto il tempo di sciogliere i nodi. E i nodi,
sostiene la Royal Society, possono essere sciolti in un unico modo:
ripristinando la totale trasparenza della scienza. Comunicando tutto a tutti.
Le tecnologie ce lo consentono: basta creare riviste in rete e “open access”.
Occorre la volontà e un minimo di risorse. La “scienza aperta”, con riviste in
rete e “open access”, può diventare un obiettivo politico: dei governi o,
magari, dell’Unione Europea. Per almeno otto diversi motivi. Sei sono, per così
dire, interni alla comunità scientifica: 1) conservare la capacità di
autocorrezione senza la quale non c’è scienza; 2) rendere accessibile le
informazioni a tutti, perché questo è il motore per la produzione di nuova
conoscenza; 3) creare un sistema che consenta di incrociare l’enorme quantità
di dati disponibili (l’incrocio di una quantità enorme di dati potrebbe portare
a un nuovo paradigma nella scienza, il quarto, dopo i classici due, l’elaborazione
delle teorie e la ricerca sperimentale, e dopo l’avvento della simulazione al
computer); 4) pubblicare non solo gli articoli, ma tutti i dati che hanno
consentito la loro elaborazione (fatto impossibile su supporto cartaceo); 5) sperimentare
nuove forme di simulazione al computer; 6) sperimentare tecnologie che facilitino
la creazione di nuove forme di collaborazione e la formazione di nuovi network
di ricerca. Gli altri due motivi che consigliano, quasi impongono, la creazione
di un sistema di comunicazione in rete “open access”, riguardano i rapporti
tra scienza e società. Il primo: la trasparenza assoluta è una condizione
essenziale per aumentare la fiducia dei cittadini non esperti nella scienza. Il
secondo: la comunicazione in rete e “open access” consente un più fitto dialogo
tra comunità scientifica e cittadini. Ne abbiamo dato notizia in un
precedente articolo: il governo
inglese ha già annunciato di aderire alla proposta
della Royal Society. È importante che lo faccia anche l’Italia. Sia per creare
le premesse di una “società democratica fondata sulla conoscenza” sia per non
rimanere, ancora una volta, indietro in un processo che è, anche, di
innovazione tecnologica. Ma è importante che l’obiettivo della Royal
Society, da sottoporre ad analisi critica, ovviamente, sia fatto proprio
dall’Unione europea. La scienza, la capacità di innovazione tecnologica e la
conoscenza diffusa hanno regalato, per mezzo millennio, al vecchio e piccolo
continente un ruolo primario nel mondo. Se vuole uscire dalla crisi è dalla
scienza, dall’innovazione tecnologica e dalla conoscenza diffusa che l’Europa
deve ripartire. Scienzainrete farà la sua parte, in Italia e in
Europa, perché questi processi si avviino.
(20 agosto 2012)
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