giovedì 19 dicembre 2013

come funziona l'orecchio

Gentilissimi,
Vi lascio due link relativi a video sul funzionamento dell'orecchio.
Il primo video, molto semplice, mostra come le onde interagiscano con tutto il sistema uditivo.

udito video 1

Il secondo video, approfondito, e tratto da una famosa puntata del programma Superquark, è completo.

udito video 2

Buona visione! NR

sabato 14 dicembre 2013

difetti della vista

Gentilissimi,
Vi lascio alcuni link ed alcune immagini relative ai principali difetti della vista.
                                                                     astigmatismo







Buona visione (è proprio il caso di dirlo!). Una nonna fortemente presbite e un pochino astigmatica. NR

sabato 7 dicembre 2013

un topo muscoloso

Gentilissimi,
Vi lascio un disegno di Esgee.
Ma non potete trovare nickname meno complicati? La nonna è anziana, ricordateVelo!
Sappiamo che il termine "muscolo" deriva dalla forma che esso presenta. In particolare il muscolo del braccio, il bicipite.
Il significato in latino di muscolo è "topolino". Ecco, quindi, che Esgee ha inviato la propria rappresentazione grafica di un "muscolo topolino". Oppure di un "topolino muscoloso"!
Ringrazio Esgee per la cortesia mostrata. Una stanca nonna!


lunedì 2 dicembre 2013

un video sui muscoli

Gentilissimi,
Vi lascio un link con un non recente video sui muscoli.
muscoli
Con questo link ringraziamo Mister Calcio del nuovo commento relativo alle ossa e al gioco sullo scheletro.
Sicuramente si tratta di una traduzione dall'inglese. Anche la tecnica pallavolistica lascia alquanto a desiderare. Tuttavia le spiegazioni sono, almeno in apparenza, semplici e comprensibili.
Buona visione!
Una nonna che, in gioventù, allenava una squadretta di pallavolo. NR, schiacciatrice al centro!

venerdì 22 novembre 2013

le impronte di Laetoli

Gentilissimi,
Vi lascio alcuni link sulle orme di Laetoli.
Il video di Eniscuola ha alcune imperfezioni nell'audio. Si tratta di un video semplice e facilmente comprensibile.

video Laetoli

Il wikisito è interessante e preciso, sebbene le immagini lascino a desiderare.


Un articolo scientifico, con belle immagini e ricostruzioni, che riprende la rivista Le Scienze è il seguente:


Ecco una immagine tratta da un altro sito, Pikaia:



VULCANI IN PICCOLO

Gentilissimi,
la Mamma delle Paperelle ha inviato una serie di fotografie relative ad un esperimento "minivulcanico".











Complimenti alla Mamma e alle Paperelle, nonché agli alunni!  NR


giovedì 21 novembre 2013

ulteriore approfondimento sul gusto

Gentilissimi,
sperando, con questo post, di aver esaudito, almeno per ora, le Vostre richieste, Vi lascio ad un ultimo approfondimento, relativo alle connessioni tra gusto e neuroni.
L'articolo è tratto dalla newsletter Le Scienze, modificato solo lievemente e nella impaginazione. Pur non essendo recente, si tratta, comunque, di un articolo interessante. Buona lettura! NR

BIOLOGIA: Su Science 
La mappa cerebrale del gusto

Anche per questo senso esistono specifici circuiti neuronali che elaborano indipendentemente i differenti sapori fondamentali 
La mappa cerebrale del gusto è stata tracciata da scienziati dello Howard Hughes Medical Institute e del NIH, che hanno scoperto che ogni gusto, dal dolce al salato, viene rilevato da una serie unica di neuroni e che i neuroni che rispondono ai gusti specifici sono disposti in modo discreto. La ricerca, pubblicata su Science, ha anche stabilito che quattro dei nostri gusti di base, dolce, amaro, salato e "umami", sono elaborati da zone distinte del cervello. In passato, i ricercatori avevano misurato nel topo l'attività elettrica di piccoli gruppi di neuroni, per vedere quali aree del cervello venissero attivate dai diversi gusti. In questi esperimenti, le aree che rispondevano ai diversi gusti sembravano fondersi, e gli scienziati ne avevano concluso che tutti i neuroni coinvolti elaborassero tutti i gusti in generale. Charles S. Zuker, Nicholas J.P. Ryba e collaboratori si sono però chiesti perché mai i diversi gusti avrebbero dovuto essere trattati dagli stessi neuroni cerebrali, sospettando che, negli esperimenti precedenti, fosse sfuggito qualcosa di essenziale. Sfruttando il fatto che la stimolazione dei recettori per certi sapori suscita nei topi risposte innate, per esempio di ricerca il dolce, l'umami e il salato a bassa concentrazione, e di avversione l'amaro, l'acido e il salato ad alta concentrazione. Grazie a sofisticate tecniche di imaging fotonica, i ricercatori sono riusciti a progettare esperimenti che hanno permesso loro di osservare contemporaneamente l'attività di grandi gruppi di cellule nervose e non solo quella di un numero ridotto di neuroni come negli studi precedenti. In questo modo sono riusciti a tracciare le mappe cerebrali relative ai diversi sapori. "L'idea delle mappe cerebrali era stata confermata per altri sensi," dice Ryba. "Ma in questi casi le mappe cerebrali corrispondono a mappe esterne": diverse frequenze del suono attivano diversi gruppi di neuroni, per esempio. Nel caso dei neuroni uditivi, la mappa è organizzata in base alle frequenze, dalla più bassa alla più alta. I neuroni visivi sono organizzati in un modo che imita il campo visivo percepito dagli occhi. Il gusto invece non mostra alcuna precisa disposizione preesistente al raggiungimento del cervello; inoltre, i recettori per tutti i gusti sono disposti in modo piuttosto casuale su tutta la lingua, osservano i ricercatori, così l'organizzazione spaziale secondo una mappa dei neuroni del gusto è tanto più sorprendente. Dopo aver scoperto queste mappe, ha detto Zuker, i ricercatori vogliono scoprire "come il gusto si combini con altri input sensoriali quali l'olfatto e la consistenza, lo stato interno e la fame e le aspettative, per dare vita a una complessa coreografia di gusto, sapori e comportamenti alimentari.". (gg)
(02 settembre 2011)

altri appunti di ripasso sul sistema nervoso

Gentilissimi,
gli appunti di ripasso sul sistema nervoso, sul blog di Matematica, sono nel mese di novembre 2012.
Vi lascio ora ad un ulteriore approfondimento. L'articolo è tratto, con poche modifiche, dalla newsletter Le Scienze. Buona lettura! NR


percezione visione biologia dello sviluppo neuroscienze
La diversa visione degli uomini e delle donne

                                                               © Ikon Images/Corbis
Le differenze nella concentrazione di recettori per gli ormoni maschili, nelle cellule della corteccia visiva, durante l'embriogenesi, determinano alcune diversità tra sessi nell'architettura percettiva. Le donne eccellono nella discriminazione delle sfumature di tonalità del colore, gli uomini nella capacità di cogliere cambiamenti in stimoli in rapido movimento (red) 
Le donne avrebbero, in generale, una maggiore sensibilità nel discriminare fra le diverse sfumature cromatiche, mentre gli uomini avrebbero una maggiore capacità di cogliere al volo stimoli in rapido movimento. E’ questa la conclusione di uno studio, condotto da ricercatori della City University of New York, illustrata in due articoli, pubblicati su “ BioMed Central Journal of Sex Differences” (Sex & vision I: Spatio-temporal resolution e Sex and vision II: color appearance of monochromatic lights). Questa ricerca si collega con altre che, in passato, hanno osservato differenze di sensibilità in alcuni aspetti della percezione fra donne e uomini. Tuttavia, osservano gli scienziati, gli studi precedenti erano strutturati in modo da non distinguere se le differenze rilevate fossero da attribuire a una differenza nella struttura del sistema visivo o all’influenza dei centri cerebrali cognitivi superiori, che, a loro volta, possono essere condizionati da fattori culturali. Il nuovo studio sembra confermare che alcune differenze andrebbero, in effetti, attribuite a diverse modalità di funzionamento dei centri visivi cerebrali, e questo, osservano gli autori, va presumibilmente imputato al fatto che, in tutta la corteccia cerebrale, ci sono elevate concentrazioni di recettori per gli ormoni sessuali maschili, in particolare nella corteccia visiva. Questi ormoni sono anche responsabili del controllo dello sviluppo dei neuroni nella corteccia visiva durante l'embriogenesi, tanto che, nei maschi, c'è il 25 per cento in più di questi neuroni rispetto alle femmine. A dispetto di ciò, non c’è affatto una supremazia generale degli uomini nella visione, ma una differente distribuzione delle “eccellenze” nella percezione visiva: le donne infatti riescono a percepire un maggior numero di sfumature, soprattutto nella parte centrale dello spettro ottico, e a notare differenze di tonalità in un tempo minore. Questa caratteristica sarebbe legata al fatto che gli esseri umani hanno diversi alleli per le opsine, proteine che formano i fotopigmenti dei coni, e che molte persone ne esprimono più d’uno. Ciò avviene con particolare frequenza nelle donne perché i geni coinvolti si trovano sul cromosoma X. Per contro, nella discriminazione di dettagli fini, come l’orientamento verticale od orizzontale di una serie di aste ravvicinate, e di dettagli in rapido movimento, il tempo necessario a una corretta identificazione degli stimoli è risultato inferiore negli uomini. "Gli elementi della visione che abbiamo misurato”, ha osservato Israel Abramov, che ha diretto lo studio, “sono determinati da input nella corteccia visiva primaria, provenienti dai neuroni del talamo. Dal momento che questi neuroni vengono indirizzati nella corteccia durante l'embriogenesi, ipotizziamo che il testosterone abbia un ruolo importante, determinando, in qualche modo, una connettività diversa nei due sessi. La spinta evolutiva che ha portato a queste differenze è invece meno chiara.".
(06 settembre 2012)

astrattismo e cervello

Gentilissimi,
come promesso eccoVi un approfondimento sulle connessioni tra cervello e organi di senso. Tale articolo mette in relazione la visione di quadri astratti e cervello. L'articolo è tratto dalla newsletter Scienzainrete.
Pur non trattandosi di un articolo particolarmente recente, mi è sembrato, comunque, significativo.
Buona lettura, e buona visione! NR

ARTICOLO SCIENZAINRETE: NEUROSCIENZE
L'arte astratta stimola il cervello L'osservazione di un'opera d'arte, anche se solo statica o di natura astratta, favorisce l'attivazione della corteccia motoria dell'osservazione. E' questo il risultato di uno studio, condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze, dell’Università di Parma, e della Columbia University, sulle risposte del cervello alle opere d'arte, concludendo che, nei meccanismi che regolano la visione, un ruolo importante lo gioca anche il sistema motorio. I ricercatori, guidati da Maria Alessandra Umiltà e Vittorio Gallese (Università di Parma) e David Freedberg (professore di Storia dell'arte alla Columbia University), nel laboratorio di elettroencefalografia del Dipartimento di neuroscienze di Parma hanno studiato, in particolare, le risposte del cervello evocate dall'osservazione dei dipinti di Lucio Fontana. La soppressione del ritmo mu, un segno dell’attivazione del sistema motorio corticale, è un dato rilevato dall’osservazione di immagini digitali ad alta risoluzione delle opere d’arte, ma non dall’osservazione di stimoli di controllo. Questo effetto è del tutto indipendente dalla familiarità degli osservatori con gli oggetti osservati. “I nostri risultati”, ha affermato Maria Alessandra Umiltà, “forniscono la prima prova del coinvolgimento del sistema motorio corticale in risposta all’osservazione di opere d’arte astratta statiche, anche in assenza di qualsiasi esplicita rappresentazione di corpo in movimento.”. Si tratta di un altro, ulteriore supporto alle ipotesi sul ruolo del meccanismo dei neuroni specchio nel coinvolgimento degli osservatori con le opere d’arte: simulare il gesto dell’artista costituisce un importante componente della percezione di un’opera d’arte astratta. Lo studio, inoltre, conferma anche l’ipotesi di Gallese e Freedberg, circa il ruolo delle risposte empatiche durante l’osservazione di opere d’arte, che si configurano come modalità di simulazione incarnata (“embodied simulation”), consentendo una comprensione diretta dei contenuti intenzionali ed emotivi delle immagini. E' questa la chiave per capire come e perché le immagini, non solo artistiche, esercitano una forma di "potere" sull'osservatore. “Fattori storici e socio-culturali, ovviamente, svolgono un ruolo preponderante nel mediare le nostre esperienze estetiche ed il nostro rapporto con le opere d’arte”, ha commentato Gallese. Tuttavia, ciò non contraddice “l’importanza di studiare ed approfondire i processi cerebrali che sottendono il nostro coinvolgimento empatico con le opere d’arte.”. Lo studio è stato pubblicato su Frontiers in Human Neuroscience. (4 dicembre 2012)

cervello, memoria, sinestesia - ripasso

Gentilissimi, eccoVi le date dei post in cui abbiamo parlato degli argomenti del titolo.

6 dicembre 2012
17 dicembre 2012
24 dicembre 2012
23 e 24 gennaio 2013
13 febbraio 2013
20 e 21 marzo 2013
25 e 28 aprile 2013
13 settembre 2013
21 ottobre 2013
1 novembre 2013

Sono presenti pure appunti relativi nel blog http://materdr.blogspot.it
le date di riferimento sono moooolto antiche, quasi come la Vostra nonna. Nonna Rosa
P.S.: Inserirò, se riesco in breve tempo, ulteriori approfondimenti su tali argomenti.



i piedi dei nostri antenati

Gentilissimi, eccoVi un articolo di approfondimento sullo scheletro.
L'articolo è tratto, e lievemente modificato, dalla newsletter Le Scienze. Buona lettura! NR

antropologia paleontologia evoluzione
Lo strano piede dei cugini di Lucy
                                  
© The Cleveland Museum of Natural History. Foto cortesia Yohannes Haile-Selassie 
Il rapporto fra sviluppo dell'andatura bipede ed evoluzione dei nostri antenati non è stato così lineare come finora ipotizzato. La scoperta di nuovi fossili suggerisce che, tra i tre e i quattro milioni di anni fa, nella regione dell'Etiopia in cui viveva Lucy fosse presente più di una specie di ominidi, ciascuna delle quali aveva sviluppato un proprio modo di muoversi (red) 
Il bipedismo è considerato un momento di svolta, determinante nell’indirizzare l’essere umano lungo un cammino evolutivo che lo ha nettamente distinto dal lignaggio degli scimpanzé. Per la ricostruzione dell’evoluzione di questa capacità sono estremamente importanti i reperti fossili relativi alla struttura del piede, che però, purtroppo, sono molto più rari di quelli di altre strutture anatomiche, sia per la loro relativa fragilità sia perché facilmente oggetto di attenzione di predatori, sia ancora per peculiarità intrinseche dei processi di fossilizzazione. La recente scoperta di reperti di ossa del piede di un ominide dell’Africa orientale, da parte di ricercatori del Cleveland Museum of Natural History, della Case Western Reserve University e dell’Università di Addis Abeba, riveste quindi un particolare significato nella ricostruzione di questa storia.
                                             
© The Cleveland Museum of Natural History. Foto cortesia Yohannes Haile-Selassie 
Come illustrato in un articolo, pubblicato su “Nature”, a prima firma di Yohannes Haile-Selassie, l’importanza è ulteriormente aumentata dal fatto che la scoperta indica che, all’inizio del tardo Pliocene, circa 3,4 milioni di anni fa, esistevano specie di ominini il cui adattamento alla locomozione differiva da quello del contemporaneo Australopithecus afarensis, la specie cui apparteneva la famosa Lucy, il cui piede è, invece, sostanzialmente confrontabile con quello dell’uomo moderno.


Confronto fra la struttura del metatarso del piede destro nel gorilla e nell'uomo. 
(Cortesia Y. Haile-Selassie / Nature)
I piedi umani sono notevolmente diversi da quelli delle grandi scimmie sotto vari aspetti: per le lunghezze relative delle dita, per la presenza di un calcagno strutturato, utile a colpire con forza la terra quando si cammina, per la posizione dell’alluce e la presenza di un arco ben sviluppato, che irrigidisce la metà del piede e trasferisce il peso verso la base dell'alluce. Molte di queste caratteristiche distintive sono presenti anche nelle ossa del piede di reperti appartenenti a diverse specie di Australopithecus, vissute fra 4,4 e 3,1 milioni di anni fa. La carenza di fossili di piedi più antichi aveva indotto a ritenere che il piede simile a quello umano avesse fortemente diretto l’evoluzione dei primi ominidi, consentendo loro una vera camminata bipede, sia pure presente insieme ad alcune caratteristiche ancestrali. Il piede fossile riportato alla luce, e studiato da Haile-Selassie, indica che l’evoluzione dei primi ominidi non è stata così lineare come ritenuto finora: da un lato, sono evidenti caratteri che lo avvicinano a quello del più antico Ardipithecus, in particolare con la presenza di un alluce divergente, dall’altro esso presenta strutture tipiche di ominidi successivi, che indicano un buon adattamento al bipedismo. Il fossile è stato scoperto a Burtele, nella regione etiope dell'Afar, e comprende otto ossa, tutte appartenenti alla metà anteriore di un piede destro. Haile-Selassie e colleghi non hanno ancora assegnato il reperto a una particolare specie, dato che, per effettuare una valutazione affidabile, è necessario il ritrovamento di un maggior numero di reperti fossili, ma le somiglianze con A. ramidus fanno sospettare che nella regione, oltre ad A. afarensis, si aggirassero anche altri ominidi capaci sia di camminare sia di arrampicarsi sugli alberi.
(28 marzo 2012)



materiale di ripasso sullo scheletro

Gentilissimi, avete chiesto, di nuovo, materiale per approfondire e/o ripassare l'argomento "Scheletro".
Si tratta di un argomento che, in passato, abbiamo affrontato. EccoVi le date dei post relativi. Se ancora non fossero sufficienti, inviate commenti e provvederò ad ulteriori post.
Per ora riguardateVi i post alle seguenti date:
30 novembre 2012
8 dicembre 2012
16 gennaio 2013
27 febbraio 2013
17 - 19 - 23 - 31 ottobre 2013

Buon ripasso! NR

sabato 2 novembre 2013

un nuovo tipo di riproduzione nei batteri: la DCT

Gentilissimi,
Vi lascio alla lettura di un articolo con interessanti novità sulla riproduzione nei batteri. L'articolo è tratto e modificato, per una più semplice lettura, dalla newsletter Le Scienze.

microbiologia genetica riproduzione
Il meglio della riproduzione asessuata e di quella sessuata 
Scoperto uno scambio di materiale genetico tra batteri diversi della stessa specie, battezzato trasferimento distributivo per coniugazione, una via di mezzo tra riproduzione asessuata e sessuata. Questo scambio permette di ottenere una nuova generazione di cellule con caratteristiche miste rispetto ai genitori che, se favorevoli per un determinato ambiente, possono dare origine a un nuovo ceppo batterico (red) 
È stata battezzato trasferimento distributivo per coniugazione (Distributive Conjugal Transfer), un nuovo processo per scambiarsi geni usato da alcuni micobatteri e descritto da Todd A. Gray e colleghi del Wadsworth Center, del New York State Department of Health, ad Albany, che firmano un articolo sulla rivista “PLOS Biology”. La sua peculiarità consiste nell'essere una via di mezzo tra la riproduzione asessuata e quella sessuata, riuscendo però a ottenere il meglio delle due. La riproduzione sessuata favorisce lo scambio di geni tra gli individui di una popolazione. A sua volta, questo scambio permette di eliminare geni poco favorevoli per la sopravvivenza in un certo ambiente e l'acquisizione di geni con funzionalità nuove. Nei batteri invece la riproduzione è asessuata: i nuovi individui sono generati dalla divisione di una cellula batterica. In questo modo, la progenie eredita lo stesso corredo genetico del genitore. Anche questo tipo di riproduzione è molto efficiente, da un certo punto di vista: poiché prescinde dall'accoppiamento, può avvenire semplicemente quando l'individuo è pronto, permettendo di colonizzare rapidamente una nicchia ecologica favorevole. Non essendoci però lo scambio di geni, le mutazioni tendono ad accumularsi, con esiti nefasti per la sopravvivenza, soprattutto quando cambiano le condizioni ambientali. In quest'ultimo studio, grazie a una tecnica di mappatura genica simile a quella usata per studiare gli organismi a riproduzione sessuata, Gray e colleghi hanno studiato il batterio Mycobacterium smegmatis, scoprendo che, in questa specie, diversi frammenti di DNA vengono trasferiti simultaneamente da un ceppo donatore a un ceppo ricevente, dando vita a nuovi batteri, l'uno diverso dall'altro, il cui genoma è un miscuglio di quello dei “genitori”. Questo mosaico genetico va molto al di là del semplice "scambio orizzontale" di geni, già osservato in molti batteri e consente una variabilità sull'intero genoma, simile a quella della riproduzione sessuata. Se la nuova combinazione di varianti genetiche è favorevole alla vita nell'ambiente in cui si trova, il batterio va rapidamente incontro a un divisione asessuata, e, per successive divisioni, a nuovo ceppo. L'analisi genetica ha permesso anche di rilevare, su circa 7000 geni del genoma del micobatterio, una regione di soli sei geni che sembra la chiave per determinare se un ceppo micobatterico sarà un donatore o un ricevente, al momento dello scambio. Il risultato dello studio ha importanti ripercussioni per la comprensione dell'evoluzione di altre specie di micobatteri, tra cui quelli che causano la tubercolosi: grazie al trasferimento coniugativo, si comprende come siano potuti emergere ceppi particolarmente adatti a crescere nei polmoni dei mammiferi.
(10 luglio 2013)

venerdì 1 novembre 2013

i neuroni della corsa e della marcia

Gentilissimi, Vi lascio in lettura un articolo sulle relazioni tra neuroni e corsa. L'articolo è tratto e lievemente modificato dalla newsletter Le Scienze. Buona lettura! E una domanda: che connessioni avrà Bolt? Sicuramente non quelle della Vostra nonna preferita. NR

neuroscienze fisiologia animali
Correre e camminare, movimenti controllati da reti neuronali diverse
                                                     © Tetra Images/Tetra Images/Corbis
La capacità di coordinare il movimento alternato degli arti del lato destro e sinistro è controllata da due differenti popolazioni di neuroni del midollo spinale. Una popolazione coordina i movimenti a bassa velocità, l'altra agisce quando la frequenza dei passi è elevata. Se ciascuna di queste popolazioni viene disattivata, alla corrispondente velocità subentra un'andatura a balzi, come quella osservata nei conigli (red)
Il corretto coordinamento muscolare durante la corsa è assicurato da gruppi di neuroni differenti da quelli che intervengono quando si cammina. A questa inaspettata scoperta è arrivato un gruppo di neuroscienziati del Karolinska Institut, che firma un articolo pubblicato su “Nature”. La grande maggioranza degli animali terrestri cammina o corre alternando gli arti di destra e di sinistra, secondo svariati schemi motori specifici. Solo un numero ridotto, per esempio i conigli, muovono entrambe le coppie di arti contemporaneamente, realizzando un'andatura a salti. A controllare l'attivazione coordinata bilaterale dei muscoli sono reti di neuroni spinali, in particolare i neuroni commissurali, che determinano lo schema del passo, attraverso l'attivazione sequenziale di gruppi di motoneuroni, ora su un lato del corpo ora sull'altro. Tuttavia, come avvenisse, nello specifico, questa alternanza era poco chiaro. Per andare a fondo alla questione, Adolf Talpalar e colleghi sono ricorsi a un gruppo di topi, geneticamente ingegnerizzati in modo da generare diverse linee di roditori in cui non fossero attivi i neuroni commissurali del midollo spinale, che sono divisi in neuroni di tipo eccitatorio e di tipo inibitorio.

                                                  © Doug Lindstrand/AlaskaStock/Corbis
"In passato era stato ipotizzato che un unico specifico gruppo di cellule nervose controllasse l'alternanza destra sinistra", dice Kiehn Ole, che ha partecipato allo studio. "E' stato quindi molto interessante scoprire che, in realtà, sono coinvolte due popolazioni neuronali specifiche, che, per di più, controllano aspetti diversi della coordinazione degli arti.". In particolare, uno dei due gruppi di neuroni controlla l'andatura alternata a basse velocità, mentre l'altra popolazione è impegnata quando l'animale si muove più velocemente. Il silenziamento selettivo dei neuroni commissurali inibitori porta a un'assenza dello schema di alternanza sinistra-destra alle basse frequenze, determinando così un'andatura a piccoli saltelli, mentre, a frequenze medie, si ottiene un parziale recupero della coordinazione, che, a frequenze elevate, torna a essere corretta. Se invece sono inattivati i neuroni eccitatori, l'alternanza destra-sinistra è presente a basse frequenze, mentre il procedere a saltelli è limitato alle frequenze locomotorie medie e alte. Se infine vengono silenziati entrambi i gruppi, il roditore assume, a tutte le velocità, un'andatura simile a quella del coniglio.
(03 luglio 2013)


giovedì 31 ottobre 2013

le ossa del bacino

Gentilissimi,
abbiamo parlato, qualche post or sono, delle ossa del cranio e della colonna vertebrale (in parte).
La Bionda Jo dell'Ultima Fila (e a cosa servano tutte queste maiuscole lo sa solo Lei!) ha chiesto appunti sul bacino, presumo sulle ossa del bacino.
Vediamo di sintetizzare.

Il bacino, o pelvi, è una parte del corpo umano. In particolare è posto tra tronco e arti inferiori. Le ossa del bacino sono formate da tre ossa saldate assieme: ileo, ischio e pube. Nella parte posteriore si trovano l'osso sacro e le vertebre del coccige. Osso sacro e coccige sono collegate da una sorta di articolazioni fisse, dette sinfisi. Tali articolazioni sono poco mobili. Al momento del parto, nella donna, grazie all'effetto di alcuni ormoni femminili, tale articolazione acquisisce maggiore mobilità, al fine di consentire il parto.
Due sono le funzioni principali del bacino. La prima è di sostegno, in particolare al tronco. Inoltre, poiché costituito da ossa piatte, nelle ossa del bacino si formano globuli rossi.
In figura è possibile notare le ossa del bacino, visto in posizione frontale.
Tra uomo e donna esistono differenze evidenti e osservabili. In questo caso si parla di dimorfismo sessuale, ossia la forma è differente tra uomo e donna. Nell'uomo il bacino sembra più alto e più stretto, oltre che più robusto. Le pareti delle ossa hanno maggior spessore. La forma complessiva è più alta e meno larga. La cresta iliaca, nel corpo dell'uomo, appare spostata anteriormente. Se paragonassimo la forma del bacino ad una farfalla, le ali anteriori sarebbero molto più grandi delle posteriori. Nella donna le ossa sono meno spesse, il bacino è più basso e meno alto. La forma complessiva appare più "allargata". La cresta iliaca è spostata lateralmente. La forma a farfalla avrebbe ali anteriori e posteriori quasi di uguale dimensione apparente. 
Per gli amanti della matematica, è possibile stabilire una correlazione tra la statura e la larghezza del bacino. 
EccoVi la formula relativa:
Lb (larghezza bacino) = h (statura della persona, espressa in metri) x 18
Nei maschietti, anche in questo caso "inferiori", la formula è 
Lb = h x 17
18 e 17 si devono intendere come "quasi 18" o "quasi 17".
Queste differenze dipendono dal fatto che le donne partoriscono. Evidentemente, al momento del parto, il cranio del bimbo DEVE passare. Per questo nelle donne il bacino è allargato. Questo fatto, se garantisce neonati con maggiore capacità cranica, penalizza le donne nell'andatura bipede. In altre parole, per poter partorire neonati "più intelligenti", le donne camminano in modo meno "produttivo". Sebbene, osservando i maschietti che osservano le femminucce, sembrerebbe che l'andatura femminile sia non solo "produttiva" ma pure "attrattiva".
Nell'acetabolo è inserito il femore, l'osso più lungo del corpo umano. Sul femore viene scaricato, mentre si cammina, il peso del corpo. Il peso del corpo, in seguito, è scaricato a terra durante la camminata. Questo garantisce che la postura eretta sia stabile, che l'uomo possa camminare e correre senza cadere, liberando le mani per altri compiti.
Al link seguente potrete osservare il movimento del femore nell'acetabolo.


Per ora è tutto. Se vi fossero altre richieste siete pregati di inviare le Vostre proposte mediante commenti, osservazioni e critiche. NR


mercoledì 23 ottobre 2013

biosfera di genova

Gentilissimi,
state cercando di organizzare un week end naturalistico? Se abitate dalle parti di Genova, Vi consiglio un viaggio tropicale senza spostarVi dalla Vostra città.
La meta indicata dalla Vostra nonna è la Biosfera, ossia una sorta di serra tropicale, appunto, progettata da Renzo Piano, in cui potete ammirare animali e piante esotiche. Vi lascio con una wikiphoto della pianta sotto le cui foglie, proprio quelle che vedete, e senza infrangere alcun regolamento interno, si è parzialmente nascosta NR. Se osservate attentamente, con l'immaginazione, evidentemente, potreste vedere tracce del mio rossetto preferito, sicuro segno del mio passaggio. O forse era un ibis scarlatto?
EccoVi, per una visita virtuale, due link a video interessanti:



Buona visione (di persona o virtuale)! Nonna Rosa

scoliosi, lordosi, cifosi

Gentilissimi,
cosa accade quando la corretta postura viene a mancare, per diversi motivi?
Come saprete sicuramente, una postura non adatta, in particolare della colonna vertebrale, provoca uno spostamento delle vertebre dalla posizione corretta.
Si parla, a volte impropriamente, di tre "spostamenti".
Quando la colonna vertebrale è spostata "più in avanti", rispetto alla postura "normale", si parla di cifosi, sebbene sia meglio definirla "ipercifosi". In termini colloquiali è la cosiddetta gobba. Essa può avvenire per varie cause: postura non corretta, appunto, ad esempio degli alunni che stanno eccessivamente curvi sul banco; oppure, come può accadere alle ragazze in fase di sviluppo, ad un repentino sviluppo in altezza non corrisponde un altrettanto rapido sviluppo muscolare; altre fonti di ipercifosi sono dovute a malformazioni genetiche o, per le persone anziane (e ne so qualcosa!), a problemi legati all'avanzare degli anni. EccoVi una immagine per spiegare meglio:

Come potete notare nel disegno, accanto alla "gobba" la colonna vertebrale compie un movimento di "schiacciamento" nella parte lombare. In questo caso specifico sarebbe meglio definire tale posizione "lordosi-ipercifosi".
Per lordosi, o, meglio, "iperlordosi", si intende, appunto, un arretramento dalla posizione corretta della colonna vertebrale. La colonna si curva all'indietro. Questo può avvenire o nei lombi, come nell'immagine precedente, oppure nelle vertebre del collo, o vertebre cervicali. EccoVi una immagine esplicativa:
Nei ragazzi e nelle ragazze in età scolare è molto comune la scoliosi, ossia uno spostamento laterale della colonna vertebrale dalla posizione corretta. Anche in questo caso le cause sono disparate. EccoVi una immagine didascalica:


Se pensate che possano servire ulteriori approfondimenti, inviate commenti e richieste,
Una nonna, per varie cause, ipercifotica. NR

martedì 22 ottobre 2013

ritmo e linguaggio

Gentilissimi,
Vi lascio alla lettura di un articolo tratto, e modificato lievemente, dalla newsletter Le Scienze. In esso vengono presentate interessanti correlazioni tra dislessia, ritmo e linguaggio. Buona lettura.

neuroscienze apprendimento linguaggio
Il senso del ritmo è cruciale per il linguaggio

Il senso del ritmo è strettamente connesso alla comprensione della lingua parlata. Lo dimostra uno studio, che fa intravedere nuove strade d'intervento terapeutico per persone con difficoltà di lettura: un addestramento di tipo musicale, con particolare attenzione per la componente ritmica, potrebbe aiutare per rendere più solide le associazioni suono-significato, essenziali per l'apprendimento del linguaggio (red) 
Musica, senso del ritmo e capacità linguistiche: per il nostro cervello questi tre elementi sono strettamente collegati. Lo dimostra uno studio, apparso sul “Journal of Neuroscience”, firmato da un gruppo di ricercatori della Northwestern University, guidati da Nina Kraus, direttrice del Laboratorio di neuroscienze uditive, in base a una serie di test su un centinaio di studenti di scuola superiore. In particolare, lo studio dimostra, per la prima volta, l'esistenza di un collegamento neurobiologico tra la capacità di tenere il ritmo e quella di codificare i suoni della lingua parlata, con significative ricadute, per quanto sia possibile prevedere, sulle capacità di lettura. In passato una ricerca della stessa Kraus aveva stabilito una connessione sia tra capacità di lettura e senso del ritmo, sia tra capacità di lettura e coerenza delle risposte neurali. “Con questo risultato abbiamo chiuso il triangolo, per così dire”, sottolinea la Kraus. “Alla base di tutto c'è una sincronizzazione tra le regioni cerebrali responsabili dell'udito e quelle del movimento.”.


Il metronomo è uno strumento utilizzato dai musicisti per migliorare la capacità di tenere il ritmo mentre suonano. Chi è in grado di seguire più accuratamente i suoi rintocchi dimostra anche una maggiore coerenza delle onde cerebrali nell'udire la lingua parlata (© Ocean/Corbis)
Nel primo test, ai ragazzi veniva richiesto di seguire il ritmo di un metronomo picchiettando con le dita su una superficie, sotto alla quale erano posti dei sensori, che permettevano di misurare la precisione del battito. Nel secondo test, sugli stessi studenti veniva effettuato un elettroencefalogramma in grado di mostrare la coerenza delle loro risposte cerebrali mentre udivano una sillaba ripetuta più volte. Dal confronto dei dati registrati, è emerso che coloro che dimostravano le migliori capacità di mantenere il ritmo erano anche quelli che mostravano le risposte cerebrali più coerenti nella pronuncia delle sillabe. “Questa correlazione ha una precisa base neurobiologica”, spiega Kraus. “Le onde cerebrali, che misuriamo con l'elettroencefalogramma, hanno origine da un centro cerebrale di elaborazione delle informazioni uditive, con connessioni reciproche con i centri motori. Quindi un'attività che richiede la coordinazione dell'udito e del movimento, probabilmente, è collegata a una solida e accurata comunicazione tra diverse regioni cerebrali.”. Per gli autori, è immediato pensare a nuovi metodi per aiutare i soggetti dislessici a superare le difficoltà di lettura. “Il ritmo è parte integrante sia della musica sia del linguaggio, e, in particolare, il ritmo del linguaggio parlato è cruciale per la comprensione”, conclude la Kraus. Parlando, per esempio, si rallenta il ritmo per sottolineare una parola o un concetto; inoltre, lievi differenze di ritmo permettono di distinguere la 'b' dalla 'p': percepire le differenze di ritmo significa, quindi, saper identificare e distinguere i suoni e, in ultima istanza, comprendere il linguaggio.”. L'idea dei ricercatori è che un addestramento di tipo musicale, con una particolare attenzione per la componente ritmica, possa essere di aiuto per rendere più efficiente il sistema uditivo, portando così il soggetto a più solide associazioni suono-significato, essenziali per l'apprendimento e le capacità di lettura.
(18 settembre 2013)

lunedì 21 ottobre 2013

a cosa serve il cervello?

Gentilissimi, proviamo ad immaginare a cosa serva il cervello.
Possiamo distinguere sicuramente almeno quattro ambiti in cui il nostro cervello è quantomeno utile:
* controllo del proprio organismo
* relazioni con l'ambiente
* relazioni sociali, o con gli altri uomini
* relazioni con il "mondo della cultura"
Potremmo pure pensare al nostro pensiero. In questo caso possiamo parlare di "metapensiero", oppure, se preferite, di filosofia-religione-spiritualità. Penso, tuttavia, che anche questa forma di pensiero possa ricadere nel "mondo della cultura".
Anche l'immaginazione ha a che fare con tale ambito. EccoVi un articolo recente relativo a studi in questo settore. L'articolo è tratto, e parzialmente modificato, dalla newsletter Le Scienze. Buona lettura. NR

neuroscienze percezione
Come e dove nasce l'immaginazione umana
Identificata per la prima volta la rete diffusa di collegamenti neurali che entra in funzione quando manipoliamo immagini mentali. Comprendendo i meccanismi di questa attività immaginativa, su cui si basa la creatività umana, i ricercatori sperano, un giorno, di ricreare gli stessi processi creativi nelle macchine (red)
Per la prima volta un gruppo di ricercatori ha identificato dove e come si sviluppa nel cervello l'immaginazione, lo strumento mentale che permette all'uomo di inventare macchine, creare opere d'arte e, più in generale, avere un'eccezionale flessibilità di comportamenti. Come è illustrato in un articolo, pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”, si tratta di una rete neurale diffusa su più aree cerebrali, un sottoinsieme delle quali contiene informazioni specifiche, relative a particolari e differenti tipi di manipolazioni mentali.  Gli studi neuroscientifici degli ultimi anni si sono concentrati sulle rappresentazioni mentali statiche più che sulle operazioni mentali che le riguardano. Si è così dimostrato, per esempio, che il contenuto della percezione visiva, le immagini visive, sogni inclusi, possono essere “decodificate” sulla base dell'attività nella corteccia visiva.  Questi risultati hanno suggerito che le stesse regioni che mediano le rappresentazioni a livello di percezione sensoriale siano coinvolte nei processi di immaginazione che prendono spunto da esse. Non era ancora chiaro, tuttavia, come facesse la mente a manipolare queste rappresentazioni: per esempio, a ottenere l'immagine di un calabrone con la testa di un toro a partire dall'immagine preesistente dei due animali .


Undici aree cerebrali mostrano specifici modelli di attivazione in funzione dei compiti mentali eseguiti. (Cortesia Alex Schlegel)

In questo nuovo studio  è stato chiesto a 15 volontari di eseguire quattro differenti tipi di compiti mentali, come immaginare  forme visive astratte per poi combinarle mentalmente in nuove figure più complesse o, al contrario, smontare mentalmente un'immagine  nelle sue singole parti. L'attività cerebrale dei partecipanti durante i test era analizzata con la risonanza magnetica funzionale.  L'analisi dei risultati ha rivelato l'esistenza di una rete corticale e sottocorticale, distribuita su gran parte del cervello, responsabile delle manipolazioni immaginate. Inoltre, sulla base del confronto fra i modelli di attivazione delle diverse aree nei differenti tipi di compiti, i ricercatori hanno ottenuto una conferma dell'ipotesi che alcune regioni contengono informazioni relative a specifiche operazioni mentali, e che questi modelli sono in grado di evolvere nel tempo, in parallelo con la manipolazione delle rappresentazioni mentali. "I nostri risultati ci permettono di capire meglio ciò che ci distingue dalle altre specie nell'organizzazione del cervello", dice Alex Schlegel, del Dartmouth College, a Hannover, e primo firmatario dell'articolo. "La comprensione di queste differenze potrà chiarire da dove viene la creatività umana e, forse, ci permetterà di ricreare quegli stessi processi creativi nelle macchine.".

(18 settembre 2013)

domenica 20 ottobre 2013

un divertente gioco con la tavola periodica degli elementi

Gentilissimi,
Vi lascio alla lettura di un divertente articolo pubblicato sulla newsletter Scienzainrete.
Dopo la lettura, provate ad inventare Voi frasi e poesie utilizzando i simboli degli elementi chimici.
L'articolo, come spesso accade, è stato lievemente modificato dalla Vostra nonna.

ARTICOLO SCIENZAINRETE: CHIMICA
Simboli in gioco di Marco Taddia Chimica Università di Bologna
I simboli degli elementi chimici sono stati introdotti, nella forma tuttora in uso, circa due secoli fa, dallo svedese Jöns Jacob Berzelius (Väversunda, 1779 – Stoccolma, 1848). Benché avesse incominciato ad utilizzarli alcuni anni prima, fu solo con due articoli, sugli Annals of Philosophy (1813, 1814), che la sua decisione divenne, per così dire, di dominio pubblico. Comunicò, infatti, che avrebbe preso come simbolo chimico l’iniziale del nome latino di ciascuna sostanza elementare ma dato che molte avevano la stessa iniziale era necessario operare ulteriori distinzioni. Nella classe dei metalloidi avrebbe impiegato la sola iniziale anche se questa era comune a qualche metallo; in quella dei metalli avrebbe impiegato le prime due lettere del nome, anche se la corrispondenza dell’iniziale si verificasse con un altro metallo o metalloide; se anche le prime due lettere erano comuni a due metalli diversi si aggiungeva all’iniziale la prima consonante non comune. A parte il primo caso di corrispondenza, non accettata dai successori, si può dire che la sua scelta è stata proprio indovinata. Prima di Berzelius, altri avevano tentato di dare simboli di vario tipo agli elementi chimici. Si ricordano Hassenfratz e Adet, Bergman, Dalton e Thomson. Tutto ciò è ben noto ai chimici e, per quanto attiene all’origine latina dei simboli, anche a molte persone di media cultura. Certo non è facile ricordare i simboli di tutti gli elementi riportati nella tavola periodica di Mendeleev, specialmente di quelli scoperti negli anni più vicini a noi, oppure di quelli che capita d’incontrare meno di frequente, come ad esempio quelli della serie dei lantanidi, detti anche “terre rare”. Come piccolo aiuto, in particolare per i ragazzi che studiano la “tavola” e un po’, si annoiano non apprezzandone subito l’intrinseca bellezza di catalogo della Natura, si può suggerire un gioco di abilità e fantasia. Si tratta di costruire parole unendo tra loro i simboli degli elementi. Ci ha provato, anni fa, la scrittrice spagnola Sophía Rhei (Madrid, 1978), autrice di libri di poesie e romanzi che hanno ottenuto vari riconoscimenti. Ad alcune sue poesie, raccolte nel volume Química (Chimica), pubblicato nel 2007 da El Gaviero Ediciones, la Rhei, che tra l’altro ha studiato alla Università di Castilla-La Mancha e alla Complutense, ha assegnato titoli composti in tal modo. Un esempio è quella intitolata “Incandescente” che dice: Il rumore di una sola goccia/ rompe, in direzione centrifuga,/ la tensione superficiale della realtà La parola “incandescente” deriva dai simboli degli elementi: indio (In), calcio (Ca), neodimio (Nd), einsteinio (Es), cerio (Ce), azoto (N) e tellurio (Te). Ciascuno potrà sbizzarrirsi a costruirne altre. Facile verificare, tavola periodica alla mano, che anche “alba”, “tacca”, “beccare”, “barare”, “erba”, “sostare”, “pasta”, “fatti”, “capace” e tante altre lo sono. Non risulta che la Rhei sia stata tradotta in italiano e dobbiamo la sua conoscenza, inclusa la traduzione di “Incandescente”, al bravo Stefano Bartezzaghi. La collana “I libri del Corriere della Sera”, edita da RCS MediaGroup, ha riproposto, poche settimane fa, un suo piccolo saggio, frutto di una conferenza tenuto al Festival della Mente di Sarzana 2008. In quell’occasione l’intervento di Stefano Bartezzaghi fu annunciato con il titolo “La creatività delle parole”, poi si trasformò in “L’elmo di Don Chisciotte, da Anassagora a Marcello Marchesi”. Dalla conferenza scaturì “L’elmo di Don Chisciotte. Contro la mitologia della creatività”, che fu pubblicato da Laterza, nel 2009, e che ora è stato ristampato. Stefano Bartezzaghi (1962) è un famoso scrittore e giornalista. Collabora da anni con il quotidiano “La Repubblica”, con il settimanale “L’Espresso” e la sua firma contribuisce, in maniera significativa, ad innalzarne lo spessore culturale. Lo fa in maniera discreta ma incisiva, così come ha scelto di definirsi (troppo) modestamente uno che “si occupa di giochi di parole e della loro storia”. In realtà è ben di più di un esperto di enigmistica, come verrebbe da pensare leggendo ciò che scrive e come sembrerebbe dalle sue “Lezioni di enigmistica” (Einaudi, 2001) e dal libro “L’orizzonte verticale. Invenzione e storia del cruciverba” (2007, 2013). Grazie a lui conosciamo questo modo insolito di prendere confidenza con la tavola di Mendeleev. (15 ottobre 2013)

Inviate pure le Vostre poesie e frasi. Saranno pubblicate sul presente blog (per quel che può valere). NR

sabato 19 ottobre 2013

suture del cranio (parte due)

Gentilissimi,
proseguiamo la nostra, e Vostra, divagazione sulle suture del cranio. Vi consiglio di rileggere il post precedente.
Vi lascio una immagine dall'alto delle suture stesse.
Oltre agli Egizi, pure molte altre civiltà, in particolare le civiltà precolombiane, erano solite, per motivi di prestigio e bellezza, comprimere, in vari modi, il cranio dei neonati. La compressione per gli olmechi era "a schiacciamento". Ecco una statua col cranio schiacciato.
Più frequentemente accadeva come per Nefertiti: il cranio era compresso lateralmente. EccoVi un esempio relativo ad una statua della cultura Paracas.
Tale compressione provocava un allungamento evidente del cranio. Tale effetto, dovuto ad intervento dell'uomo sul neonato, oppure genetico e, quindi, naturale, è detto "dolicocefalia". La persona con queste caratteristiche anatomiche è dolicocefala. Non furono solamente le culture non occidentali a prediligere e considerare segno di bellezza il cranio allungato in questo modo. In Italia molti principi e regnanti costringevano, è proprio il termine corretto, anche etimologicamente, le infanti ad un cranio dolicocefalo. EccoVi un ritratto di una giovane principessa italiana. L'autore del ritratto è Pisanello.
Anche in tempi a noi più vicini (ovviamente più vicini alla nonna che ai lettori) per alcuni artisti, come, per esempio, Modigliani, le ragazze con la "testa lunga" erano considerate modelle ideali e fidanzate ideali. Ecco un ritratto eseguito da Modigliani della sua amata Jeanne Hebuterne. 
Anche altre forme d'arte hanno avuto modo di prediligere questo tipo di bellezza. Ne è un esempio il libro di Segre dal titolo "Dolicocefala bionda". Il libro, scritto sotto lo pseudonimo di Pitigrilli, fu pubblicato nel 1936. Forse in qualche biblioteca, o mercatino di libri usati, potreste trovarne ancora qualche copia. 
Vi lascio, infine, uno studio interessante, se a Voi tale argomento, evidentemente, interessa, su questi che potremmo chiamare, colloquialmente, "interventi plastici su neonati". Il termine scientifico è, tuttavia, "plagiocefalia posizionale". Vi lascio il link relativo a questo studio scientifico.


E con questo ultimo invito, Vi lascio ai Vostri approfondimenti. 
Una nonna che, anni or sono, molti anni or sono, da lontano avrebbe potuto assomigliare alla graziosa Jeanne di Modì.
Nonna Rosa (dall'invidia, evidentemente!)

giovedì 17 ottobre 2013

suture del cranio (parte uno)

Gentilissimi,
parlando delle ossa del cranio sorgono numerose, e spesso spontanee, divagazioni.
Proviamo, usando l'anulare della Vostra mano non dominante, ossia la sinistra se siete destri, oppure la destra se siete mancini, provate a toccarVi la parte alta della testa. Se qualche alunna portasse i capelli raccolti, è invitata momentaneamente a scioglierli. Dalla parte alta, se facciamo scorrere l'anulare sulla sommità del capo, facendolo scorrere verso la fronte, seppur di poco, sentiamo che le ossa del cranio si incontrano seguendo una linea. Tale linea al tatto è "rugosa". In effetti è a zig zag. Si tratta di una sutura, ossia di una articolazione fissa del cranio. Scientificamente sarebbe meglio denominarle "sinartrosi", sebbene sia non comunemente utilizzato. Le ossa della calotta, o volta, cranica si incastrano una nell'altra. Tra le due ossa si inserisce un sottile strato di cartilagine. Questo meccanismo di "aggancio", in realtà, è uno strumento di difesa. Le ossa del cranio hanno funzione protettiva nei confronti del cervello. Se anche si dovesse prendere una botta, il cranio e le suture attutirebbero, e di molto, il colpo, impedendo eccessivi danni al cervello sottostante. Con l'avanzare dell'età le suture possono ossificarsi completamente. Nel prossimo pos una immagine relativa.

Nel bambino tali suture non sono ancora saldate perfettamente. Questo al fine di consentire uno sviluppo celere del cervello. I due punti in cui le ossa craniche non sono saldate sono dette, colloquialmente, "fontanelle". EccoVi una immagine relativa.

Lungo le linee di sutura si trovano cellule generatrici dell'osso, dette cellule osteogeniche. Le suture si classificano in base alla loro forma e tipologia di sovrapposizione. In Wikipedia, alla voce "Suture" si trovano tali classificazioni.
Il cranio, quindi, ha ossa che, in tenera età, sono parzialmente "malleabili". Tale fenomeno era già noto dall'antichità. I re, i faraoni, gli imperatori, che dovevano mostrare potere e bellezza, legavano la testa dei loro figli e delle loro figlie in modo che, da adolescenti, avessero la testa "allungata". A quei tempi, e non solo allora, una testa "lunga" era sinonimo di bellezza e fascino. Anche Nefertiti, o Nefertari, detta "la bella" avrebbe subito lo stesso destino, o, se preferite, tortura. Sia le numerose statue che la raffigurano sia la mummia che, secondo gli studiosi, è Nefertiti rappresentano una ragazza dal cranio allungato posteriormente. Ecco una immagine della mummia di Nefertiti.


Per ora è tutto. NR, "l'anti Nefertari", ora. 

lunedì 14 ottobre 2013

Videotrappole

Gentilissimi,
ho ricevuto link relativi alle videotrappole.
Si tratta di videocamere che, automaticamente, si attivano, solitamente in zone di "natura incontaminata", o in riserve e parchi naturali, al passaggio di animali di varie specie.
Tale metodologia di studio è a suffragio di ipotesi di presenza di animali, magari precedentemente suffragata da tracce e/o segni di una probabile presenza. Potremmo definire tale metodo "i-i", ossia icnologico-informatico.
GustateVi i video presenti ai seguenti link:

video 1
video 2
video 3
video 4
video 5
video 6
video 7
video 8
video 9
video 10

In alcuni momenti i video non sono correttamente fruibili. Se ciò dovesse verificarsi, provate in altro momento.
Buona visione! NR

dallo zigote alla nascita

Gentilissimi,
avete chiesto qualche immagine in cui sia presente lo sviluppo di un organismo dallo zigote alla nascita.
Ho trovato in rete un ottimo schema esemplificativo. Vi lascio il link di riferimento per la spiegazione:

sviluppo

Si tratta di un argomento molto complesso. Sappiatemi dire.
Ecco lo schema:

Anche in questo schema i termini sono complessi, tuttavia è ben rappresentato lo zigote, o meglio il momento della fecondazione (due posti in senso antiorario rispetto alla morula).

mercoledì 18 settembre 2013

anno luce

Gentilissimi,
in astronomia una tra le unità di misura di LUNGHEZZA maggiormente utilizzate è l'anno luca, ossia la DISTANZA percorsa dalla luce in un anno. Vi lascio un breve link da wikipedia mediante cui approfondire tale tematica. Eccolo

anno luce

Se pensate possa esserVi utile, mandate commenti e inserirò approfondimenti in un futuro post.
Per quanto concerne il tempo impiegato dalla luce del Sole per giungere sulla Terra, si tratta di una misura "media", in quanto l'orbita terrestre non è una circonferenza.
NR

venerdì 13 settembre 2013

la memoria del pesce zebra

Gentilissimi, spesso, in questo blog, abbiamo affrontato il tema della memoria.
Vi lascio ad una recente scoperta che convalida alcune ipotesi sulla sostanziale differenza tra memoria a breve termine e memoria a lungo termine.
La memoria a breve termine permette di ricordare per pochi minuti. Molti di Voi utilizzano il "ripasso appena prima di" una interrogazione, verifica, esame. La memoria a breve termine NON consente di strutturare collegamenti, inferenze, passaggi logici. E' quindi poco adatta alla maggior parte delle prove da sostenere. Il rischio è di "fare confusione". La memoria a lungo termine, al contrario, "fissa" i concetti per un lungo periodo di tempo. Tuttavia, per poter fare ciò, il cervello "fa fatica", consuma maggiore energia. Uno tra i meccanismi meno apprezzato dagli alunni è detto "studio". Lo studio permette ai concetti di passare dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine.
Vi lascio alla lettura di un breve articolo, tratto e modificato lievemente dalla newsletter Le Scienze. Buona lettura. Una nonna "zebra". NR

neuroscienze memoria apprendimento
La memoria del pesce zebra, in diretta


                                                                Wikimedia Commons

Grazie agli strumenti dell'optogenetica è stato possibile visualizzare, per la prima volta, in pesci zebra appositamente ingegnerizzati, i processi di consolidamento della memoria, e dimostrare che i ricordi a breve e a lungo termine si formano e vengono conservati in parti diverse del cervello (red) 
Memoria a breve termine e memoria a lungo termine si fondano su circuiti e aree cerebrali distinte. A scoprirlo è una ricerca condotta sul modello animale, che ha permesso di stabilire alcuni importanti risultati sui meccanismi con cui vengono conservati i ricordi per poi essere recuperati nel momento in cui è necessario prendere una decisione. I processi cerebrali che modulano le nostre risposte comportamentali agli stimoli dell'ambiente sulla base delle esperienze pregresse sono estremamente difficili da studiare direttamente nel cervello dei mammiferi, a causa delle sue dimensioni e complessità. Per questo, i ricercatori del RIKEN Brain Science Institute, che firmano un articolo pubblicato sulla rivista “Neuron”, hanno rivolto la loro attenzione al pesce zebra, di cui è molto più semplice creare esemplari geneticamente ingegnerizzati, in modo da sfruttare gli strumenti dell'optogenetica e della farmacogenetica. Tazu Aoki e colleghi hanno usato l'optogenetica per inserire nei pesci un gene per la produzione di una proteina fosforescente, che si attiva quando un neurone è attraversato da un potenziale d'azione. In questo modo è stato possibile visualizzare, per la prima volta dal vivo, l'attività dell'intero cervello del pesce durante il recupero della memoria.


Le diverse aree attivate dal richiamo di ricordi dalla memoria a lungo termine (in alto) e a breve. 
                                               (Cortesia Tazu Aoki et al / Cell) 
Usando gli strumenti della farmacogenetica, che negli esemplari opportunamente ingegnerizzati permette di disattivare specifiche aree cerebrali attraverso la somministrazione di sostanze farmacologiche, i ricercatori hanno invece potuto sondare il coinvolgimento delle diverse regioni del cervello nella memorizzazione, a breve e a lungo termine, e nella rievocazione di queste memorie durante un processo decisionale. Aoki e colleghi hanno quindi posto i pesci in differenti situazioni sperimentali, nelle quali dovevano ricorrere ora alla memoria a breve, ora alla memoria a lungo termine, riuscendo così a visualizzare i diversi circuiti utilizzati. In particolare, quando il pesce richiamava il comportamento di evitamento appreso il giorno precedente (ossia conservato nella memoria a lungo termine), è stata osservata un'intensa attività neurale nella parte dorsale del telencefalo, una struttura che corrisponde alla corteccia nell'essere umano. Nelle condizioni in cui era impegnata la memoria a breve termine, che si conserva per qualche decina di minuti, non era rilevabile alcuna attività in quell'area.
(20 maggio 2013)