sabato 18 gennaio 2014

i pinguini e il volo

Gentilissimi,
Vi lascio ad un recente articolo tratto dalla newsletter Le Scienze. Vi chiedo scusa se, questa volta, non ho inserito la data di pubblicazione. Semplicemente, con molta probabilità, l'ho cancellata.
L'articolo è stato parzialmente modificato, senza alterarne il senso, per una più facile lettura. NR

animali evoluzione fisiologia
Perché i pinguini non sanno più volare

© Jay Dickman/Corbis 
Il confronto tra i costi metabolici del volo e del nuoto in immersione, in alcuni uccelli marini, dimostra che è stata l'ottimizzazione delle prestazioni natatorie a far perdere completamente ai pinguini la capacità di volare, che, in genere, è evolutivamente vantaggiosa. L'efficienza in una delle due modalità di locomozione, infatti, va a scapito dell'altra. (red) 
Perché alcuni uccelli marini, primi fra tutti i pinguini, hanno perso la capacità di volare? La risposta, trovata da un gruppo di ricercatori dell'Università del Manitoba, a Winnipeg, in Canada, che firmano un articolo, pubblicato sui “Proceedings of the Natinal Academy of Sciences”, sta nelle diverse esigenze che bisogna soddisfare per spostarsi con efficienza nell'aria e nell'acqua. Dal punto di vista evolutivo, non è facile spiegare la perdita di una capacità altamente adattativa, come il volo, che offre molti vantaggi a chi la possiede, primo fra tutti quello di ridurre notevolmente la mortalità per attacchi di predatori. Se è vero, infatti, che le elevate esigenze energetiche del volo talvolta possono essere svantaggiose, specialmente in ambienti con bassa produttività e/o in cui il rischio di predazione è ridotto, come nel caso degli uccelli non volatori su isole prive di predatori, questo non vale per gli uccelli marini, che spesso sfruttano acque ricche di pesce, ma diventano così più vulnerabili alla predazione da parte di foche, cetacei e squali.
 

Un'uria spicca il volo. (Cortesia Kyle H. Elliott) 
Nel caso dei pinguini, poi, che percorrono lunghe distanze tra le aree di riproduzione e di alimentazione, si aggiungono i costi di un viaggio che potrebbe essere compiuto con minor sforzo, e molto più in fretta, volando, piuttosto che camminando o nuotando. Kyle H. Elliott e colleghi hanno sottoposto a verifica un'ipotesi biomeccanica alternativa, secondo cui, in questi uccelli, l'incapacità di volare sarebbe il frutto di una serie di compromessi volti a ottimizzare la locomozione a propulsione alare nei diversi mezzi attraverso cui si muovono, ossia aria e acqua. In altri termini, via via che le ali diventano più efficienti per il nuoto si riduce la loro efficienza per il volo, e viceversa. I ricercatori hanno misurato i costi energetici del volo e dell'immersione in due specie di uccelli marini, che nelle immersioni sfruttano, rispettivamente, la propulsione alare, come l'uria di Brünnich (Uria lomvia), e la spinta delle zampe, come il cormorano pelagico Phalacrocorax pelagicus. Hanno così scoperto che i costi energetici del volo, sia delle urie sia dei cormorani, sono i più alti registrati per un vertebrato, e che quelli delle urie sono addirittura del 33 per cento superiori a quanto previsto dalla modellazione biomeccanica basata sulla forma del loro corpo. Questa scarsa efficienza in volo, legata al metabolismo muscolare, permette, però, una maggiore resistenza in immersione, che, tuttavia, non arriva al drastico abbassamento del fabbisogno di ossigeno che caratterizza il metabolismo dei pinguini in immersione profonda. E' quindi verosimile, scrivono i ricercatori, che nel corso della loro evoluzione i pinguini siano riusciti ad aumentare notevolmente le loro capacità di approvvigionamento alimentare a profondità sempre maggiori, attraverso una riduzione dell'apertura alare, l'allargamento delle ossa dell'ala, l'aumento della massa corporea. Queste caratteristiche sono state però pagate dei pinguini con una progressiva inefficienza di volo, fino alla perdita completa di tale capacità.

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