martedì 16 settembre 2014

LUCA

Gentilissimi,
abbiamo, in altri post, accennato agli Archea, alle bocche idrotermali e alle fumarole nere. EccoVi, in lettura, un recentissimo articolo, tratto e lievemente modificato dalla newsletter Scienzainrete, in cui si propone una cellula ancestrale, comune a Monere ed Archea. L'ipotesi è interessante, sebbene da ulteriormente approfondire.

Buona lettura! NR, una nonna ancestrale

ARTICOLO SCIENZAINRETE: BIOLOGIA
LUCA, la cellula ancestrale di tutti gli organismi viventi  di Federico Baglioni  Com. e div. Sc..
LUCA significa Last Universal Common Ancestor e rappresenta una cellula ancestrale da cui si sono evolute tutte le forme viventi e, in particolare, batteri e archea (o archeobatteri). Questo è il risultato di un modello messo a punto da alcuni ricercatori dell’University College, di Londra, e descritto in un articolo pubblicato “PLoS Biology”. Da decenni ci si interroga su come si siano evoluti batteri e archea e da quali dei due abbia avuto origine l’umanità. Una questione tutt’altro che facile, visto che, fino agli anni Settanta, si pensava che entrambi gli organismi facessero parte di un unico regno; tale convinzione era dovuta al fatto che sono effettivamente molte le caratteristiche comuni tra le due forme viventi, come i geni, il tipo di lettura del DNA e le proteine. Quando però si scoprì che differivano profondamente, per quanto riguarda le membrane e i meccanismi di replicazione del DNA, i ricercatori iniziarono a formulare nuove ipotesi. E poiché i batteri mostravano una membrana e un sistema di produzione di energia molto simili alle cellule di noi eucarioti, si pensò che, probabilmente, erano i batteri i nostri “antenati”. Secondo questa nuova ricerca, invece, batteri e archea discenderebbero entrambi da una cellula di circa 3,8 milioni di anni fa: LUCA. Gli autori del modello, Victor SojoAndrew Pomiankowski e Nick Lane, sostengono che quest’organismo ancestrale vivesse nei fondali oceanici, in prossimità delle bocche idrotermali. In questo ambiente, LUCA era in grado di produrre ATP, la molecola che è fonte di energia e che è ancora oggi essenziale per tutte le cellule. Per ottenere energia, LUCA sfruttava la differenza di concentrazione tra i protoni delle acque oceaniche e quelle delle sorgenti, avendo una membrana dalle caratteristiche molto particolari: essa infatti era “porosa” e permetteva un flusso di protoni sia in entrata che in uscita. Quello era però l’unico ambiente abitabile da un organismo con una membrana di quel tipo. Per colonizzare altri ambienti, dove non vi era a disposizione un gradiente di concentrazione di particelle cariche, gli organismi si sono dovuti adattare, sviluppando apposite pompe protoniche: macchinari complessi in grado di consentire un flusso di protoni tale da permettere la produzione di ATP. Lo studio ipotizza, quindi, che batteri e archea, partendo da una struttura base di cellula LUCA, abbiano sviluppato, nel corso della storia, diverse strutture di membrana cellulare e pompe protoniche, per colonizzare nuovi ambienti. Questa origine comune spiegherebbe, da un lato, le somiglianze tra i due organismi e, dall’altro, l’estrema diversità, anche di altri meccanismi legati alle membrane, come la replicazione del DNA. Si tratta di una scoperta molto interessante che propone un modello evolutivo nuovo e complicato. Una sfida stimolante per il futuro poiché, da future ricerche, sarà forse possibile spiegare altre questioni evolutive, finora rimaste irrisolte.
(1 settembre 2014)


consigli dalle nonne

Gentilissime e gentilissimi,
ho trovato, e letto con piacere, un articolo sulla relazione tra sonno e memoria. Come quasi sempre accade il testo è stato, solo lievemente, modificato, ai fini di una migliore comprensione per i non addetti. L'articolo, risalente al maggio scorso, è tratto dalla newsletter Le Scienze. Vi invito, con l'ausilio di mamma o papà, se siete interessati alle scienze, ad iscriverVi quanto prima. L'iscrizione, se nulla è cambiato nel frattempo, è gratuita. Gli articoli sono recentissimi e interessanti. (Fine delle recensioni!).
Si passi, ora, alla lettura dell'articolo di cui al titolo.
Buona lettura!
Una nonna particolarmente formale! NR

sonno psicologia
La Sapienza Università di Roma: Dormire per trovare la strada
Comunicato stampa - Uno studio, condotto dai ricercatori della Sapienza, ha identificato il substrato cerebrale della relazione tra sonno e consolidamento delle memorie. L’attività elettrica lenta dell’ippocampo è correlata all’apprendimento spaziale
Roma, 28 maggio 2014 - Uno studio italiano, condotto da ricercatori del dipartimento di Psicologia della Sapienza, dell’Ospedale di Niguarda, di Milano, delle Università dell’Aquila, Bologna e Calgary (Alberta, Canada), pubblicato, in anteprima, sulla rivista Hippocampus, dimostra come le frequenze lente dell’attività elettrica dell’ippocampo, durante il sonno, siano strettamente associate al consolidamento delle memorie spaziali. L'esperimento condotto prevedeva che i pazienti esplorassero un ambiente virtuale, fino a creare una perfetta mappa cognitiva dell'ambiente stesso, nel quale poi era richiesto loro di muoversi, spostandosi il più rapidamente possibile da un punto a un altro. I pazienti poi erano liberi di dormire indisturbati, monitorati attraverso la registrazione dell’attività elettrica della corteccia cerebrale e dell'ippocampo. Al mattino successivo, i pazienti erano nuovamente sottoposti al test di navigazione spaziale. “Da  tempo”, spiega Luigi De Gennaro, “abbiamo iniziato lo studio sistematico dell’attività dell’ippocampo durante il sonno umano. Questa struttura profonda del cervello gioca un ruolo cruciale nei processi di consolidamento delle memorie. Lo studio che abbiamo appena pubblicato dimostra, per la prima volta, che specifiche frequenze lente dell’attività elettrica ippocampale presentano un’elevatissima correlazione con l’efficienza del consolidamento di memorie spaziali. Solo nel sonno NREM si osserva una correlazione quasi perfetta (0.92). In altri termini, la presenza di questa specifica attività elettrica lenta nell’ippocampo durante il sonno predice il livello delle nostre prestazioni nei compiti di navigazione spaziale durante il giorno successivo.”. Le implicazioni di tale scoperta possono aprire prospettive potenzialmente applicative nell’ambito dell’ottimizzazione dei processi di apprendimento. Si potrebbero, infatti, immaginare training di specifiche abilità spaziali,  che prevedano un miglioramento della qualità del sonno, al fine di ottimizzare le successive prestazioni mnestiche.  Il consiglio che da sempre molte madri hanno dispensato ai propri figli, nei periodi di stress per un esame, ovvero  di interrompere a un certo punto lo studio e di andare dormire, sta rivelando oggi una sua fondatezza scientifica.
(28 maggio 2014)


lunedì 15 settembre 2014

dislessia acquisita

Gentilissimi,
abbiamo, in altre occasioni, già parlato di dislessia. EccoVi, in lettura, un articolo tratto, e lievemente modificato, dalla newsletter Le Scienze.
In esso si parla di dislessia acquisita, ossia di uno tra i disturbi di lettura causato da traumi di vario tipo. All'interno dell'articolo qui sotto riportato si trova un link di riferimento per una trattazione completa della ricerca in esame.
Buona lettura e buon inizio di anno scolastico. NR

neuroscienze linguaggio
Un. Milano Bicocca: Individuate le aree cerebrali responsabili delle diverse forme di dislessia acquisita
Comunicato stampa - Lo studio delle lesioni cerebrali che causano diverse forme di dislessia acquisita, pubblicato su Brain and Language, ha permesso di identificare anche le basi neurali dei processi di lettura. A firmare la ricerca, che apre nuove strade nell’ambito delle neuroscienze della lettura e nella messa a punto di programmi di riabilitazione, un team di ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca
Milano, 28 maggio 2014- Individuate le aree del cervello interessate dalla dislessia acquisita. Un team di ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca, grazie a uno studio, coordinato da Claudio Luzzatti, neuropsicologo del Dipartimento di Psicologia, e condotto da Enrico Ripamonti, dottore di ricerca in statistica e assegnista, presso il Dipartimento di Economia, Metodi Quantitativi e Strategie di Impresa, ha indagato per la prima volta i correlati neuro-funzionali dei processi di lettura, in 59 pazienti con dislessia acquisita in seguito a lesioni cerebrali. Si tratta del campione più ampio mai utilizzato per studi di questo tipo. La ricerca, alla quale hanno lavorato neuropsicologi, medici, logopedisti e statistici, è in corso di pubblicazione su Brain and Language (http://dx.doi.org/10.1016/j.bandl.2014.04.001) I ricercatori hanno localizzato le lesioni cerebrali che causano diverse forme di dislessia acquisita, cioè quei disturbi di lettura, che derivano da un danno cerebrale, in persone le cui abilità di lettura erano, prima del danno subito, normali. «Abbiamo trovato», spiega Claudio Luzzatti, «che la dislessia superficiale è prevalentemente associata a lesioni temporali sinistre, la dislessia fonologica a lesioni insulari sinistre e del giro frontale inferiore sinistro (pars opercularis), mentre l’alessia pura a lesioni del giro fusiforme sinistro. In breve, i risultati di questo studio hanno permesso di portare importanti evidenze sulla base neurale dei processi di lettura, aprendo nuove strade in questo campo di ricerca. Infatti, da un lato, suggeriamo una precisa localizzazione anatomica dei diversi processi funzionali legati alle abilità di lettura, dall’altro riproponiamo una teoria classica della neuropsicologia, secondo cui i fasci di sostanza bianca, quelli che connettono le diverse aree cerebrali, giocano un ruolo critico nell’elaborazione della lettura normale e nella genesi dei relativi deficit.». I meccanismi della lettura, classicamente descritti dalla neuropsicologia cognitiva attraverso il modello di lettura a due vie, prevedono l’interazione tra una procedura lessicale e una procedura sublessicale: queste due procedure sono state ipotizzate per spiegare la possibilità che i lettori esperti hanno di leggere tanto parole irregolari (chef, yacht, jeans) quanto non-parole (campote, trefene). Deficit selettivi, all’una o all’altra via, possono provocare diversi tipi di dislessia acquisita: la dislessia superficiale per danno della procedura lessicale e la dislessia fonologica per danno della procedura sublessicale; vi è poi un danno funzionale più precoce, solitamente detto alessia pura o dislessia lettera per lettera. In passato, questi disturbi di lettura sono stati studiati perlopiù attraverso la descrizione di casi singoli. «In questo lavoro», afferma Enrico Ripamonti, «grazie alla voxel-based lesion-symptom mapping, una tecnica di visualizzazione cerebrale che permette di collegare, in maniera estremamente precisa, un lesione cerebrale con le prestazioni a test specifici, abbiamo preso in esame un campione di 59 pazienti, con afasia e dislessia acquisita in seguito a un danno cerebrale focale. I dati provenienti dalle valutazioni neuropsicologiche e i dati di neuroimaging sono stati analizzati con modelli statistici avanzati, per studiare, in dettaglio, i correlati anatomici dei diversi sottotipi di dislessia, allo scopo di individuare i correlati neurali dei processi di lettura.».  Lo studio, realizzato con il contributo dell’Università di Milano-Bicocca e di Finlombarda, è stato condotto in collaborazione con l’Unità di Riabilitazione Villa Beretta, dell’Ospedale Valduce, di Como, con l’Unità di Riabilitazione di Montescano, dell’IRCCS Fondazione S. Maugeri, di Pavia, e con l’Azienda Ospedaliera G. Salvini, di Rho-Passirana. I risultati preliminari di questa indagine multicentrica, durata circa sei anni, sono stati presentati al congresso internazionale Academy of Aphasia di San Francisco, nel 2012. «Solo attraverso una paziente raccolta dei casi clinici, con l’utilizzo di strumenti di valutazione neuropsicologica calibrati e tarati e con la collaborazione dei Servizi di Neuroradiologia», ha aggiunto Ripamonti, «abbiamo potuto investigare, in dettaglio ed in un campione così ampio di pazienti, le basi neurali dei processi di lettura. I risultati di questa ricerca multicentrica ci fanno dunque ben sperare per il futuro: in particolare, puntiamo a utilizzare modelli statistici e tecniche di neuroimmagine più avanzati, per chiarire ulteriormente le basi neurali dei disturbi acquisiti di scrittura e, di conseguenza, i meccanismi neurali dei rispettivi processi funzionali normali, su cui ancora esiste grande incertezza.».
(28 maggio 2014)


lunedì 1 settembre 2014

anniversario della falsificabilità

Gentilissimi,
tra pochi giorni riprenderete l'impegno scolastico.
EccoVi un approfondimento, forse un poco "tecnico", sul criterio di falsificabilità, proposto da Popper.
L'articolo è tratto dalla newsletter Scienzainrete, che già conoscete.
Buona lettura! NR

ARTICOLO SCIENZAINRETE: FILOSOFIA DELLA SCIENZA
Ottant'anni di falsificazione di Cristina Da Rold  Freelance journalist & scientific communicator
Nella prefazione all'edizione Einaudi della Logica della scoperta scientifica, il filosofo della scienza Giulio Giorello definisce Karl Popper un “buon soldato”, riprendendo la storia, già citata dallo stesso Popper, di quel soldato che scoprì che tutto il suo battaglione, tranne lui, non marciava al passo. “Un soldato”, dice Giorello, “che non marcia con gli altri. Quest'anno ricorrono gli 80 anni esatti dalla pubblicazione, a Vienna, della più celebre tra le opere popperiane, e i 40 anni della sua Autobiografia intellettuale, che hanno rappresentato un giro di volta nella filosofia della scienza. Un volume corposo, la Logik der Forschung, che include le principali tesi popperiane, poi riviste in opere successive, come il celebre Poscritto, prima fra tutte quella che passerà alla storia come falsificazionismo. La Logica della scoperta scientifica non ci interessa oggi dopo 80 anni dalla sua pubblicazione come opera innovativa: la filosofia della scienza successiva, di Imre Lakatos e Paul Feyerabend, solo per citarne alcuni esempi, ha messo in evidenza i limiti e le debolezze di questo sistema. Rimane, al contrario, un esempio folgorante, per chi riflette non solo sui risultati della scienza ma sul suo procedere, di rivoluzione del modo di concepire il problema della conoscenza, dell'episteme, cioè  dell'epistemologia. L'epistemologia per Popper è, infatti, teoria del metodo; detto in altri termini, porsi la domanda “come l'uomo conosce” significa interrogarsi sul metodo attraverso cui quella che definiamo conoscenza procede. “È un errore enorme teorizzare a vuoto. Senza accorgersene, si comincia a deformare i fatti per adattarli alle teorie, anziché il viceversa.”. A pronunciare questa frase non fu un filosofo della scienza, ma uno dei più celebri investigatori mai tratteggiati da una mente umana: Sherlock Holmes, anche se questo pensiero potrebbe essere attribuito, senza sforzo, al filosofo viennese.  Il compito della logica della conoscenza, spiega Popper, è quello di fornire un'analisi logica di questa procedura, ovvero analizzare il metodo delle scienza empiriche. Insomma, la teoria della conoscenza è teoria dell'esperienza. Il che non è affatto banale, se pensiamo a qual era il pensiero filosofico dominante nei primi anni Trenta del secolo scorso, ovvero il Neopositivismo del Circolo di Vienna, secondo cui la logica dell'induzione rappresentava lo strumento conoscitivo per eccellenza. Oggi è nota, anche al grande pubblico, la storiella del pollo che, avendo vissuto giorno dopo giorno nell'abbondanza di viveri che il suo padrone non mancava di portargli ogni giorno, si era persuaso, convinzione che si rivelò tragicamente fallace, che così sarebbe stato per il resto dei suoi giorni, mentre finì per arricchire, suo malgrado, il banchetto dei suoi padroni la vigilia di Natale. Ebbene, il pollo non fece altro che applicare il principio di induzione, secondo cui il fatto che un evento si sia già verificato un certo numero di volte giustifica la convinzione che tale evento continui ad accadere in futuro. In termini di logica matematica, il principio di induzione dice che se una proprietà P vale per un certo numero naturale k, una volta verificatosi che P vale per un numero n minore o uguale a k, qualsiasi esso sia, e per il suo successivo, allora sarà lecito inferire che la proprietà P vale anche per tutti i numeri naturali maggiori o uguali di k. Parafrasando e semplificando, se come k prendiamo il numero 8, e se la proprietà P “essere nero” vale prima per 6 e poi per 7 corvi, allora è lecito derivare che varrà anche per 9, 10 o più corvi, fino a inferire che la proprietà “essere nero” vale per tutti i corvi. Ebbene, secondo Popper il metodo induttivo non è il metodo della scienza, perché, anche qualora i casi in cui un evento si verifichi siano moltissimi, ciò non giustificherebbe automaticamente il verificarsi dell'evento, o il possedere o meno una certa proprietà, anche in futuro. Ciò che Popper propone, al posto del metodo di procedere induttivo, è il metodo della demarcazione, basato sul falsificazionismo. “Il compito cruciale di qualunque epistemologia che non accetti la logica induttiva dev'essere il trovare un criterio di demarcazione accettabile”, scrive nei primi paragrafi dell'opera, e l'unica strada, l'unico metodo percorribile per classificare qual è un'asserzione scientifica e quale no è proprio il falsificazionismo, cioè la possibilità che questa asserzione venga, in qualche modo, falsificata. Sono accettabili, dunque, come scientifiche solo le asserzioni che possono essere empiricamente falsificabili e solo questo basterebbe per cogliere il profondo scarto con la filosofia del Wiener Kreis, Hans Reichenbach in testa, che riteneva, al contrario, che fossero da ritenersi scientifiche solo le asserzioni verificabili, lasciando però aperto il problema di come dovevano essere considerate tutte le asserzioni non verificabili empiricamente. Inoltre, e questo è un secondo aspetto di passaggio rispetto al pensiero neopositivista, il falsificazionismo è sì un criterio di demarcazione, ma metodologico, non di significato. Detta in altri termini, non discrimina ciò che ha significato da ciò che non lo ha, ma all'interno per esempio di due proposizioni entrambe significanti demarca quella che è una proposizione scientifica da quella che non lo è. Per Popper tuttavia non tutte le asserzioni sono falsificabili. In particolare non lo sono quelle che, in logica, si chiamano asserzioni strettamente esistenziali, come per esempio “Esiste almeno un corvo che non è nero”. Per Popper falsificare questo tipo di asserzione non è possibile e dunque frasi come queste non sono considerabili come empiriche, ma metafisiche, che sfuggono dunque alla presa della conoscenza. Un ultimo aspetto che rende la Logica della scoperta scientifica una sorta di punto di non ritorno per la filosofia della scienza contemporanea è la proposta di considerare l'oggettività come intersoggettività, ovvero una “verità scientifica” è oggettiva se è passabile di controllo intersoggettivo. Ed è questo che non convinceva Popper della correttezza dell'interpretazione di Heisenberg della Teoria dei Quanti, che, secondo il filosofo viennese, “oscillava tra approccio soggettivistico e oggettivistico” e perciò “non ha purificato la teoria quantistica dai suoi elementi metafisici.”. Critica all'induzione, problema della demarcazione, falsificazionismo, elogio dell'ipotesi, oggettività come intersoggettività: a 80 anni dalla sua pubblicazione la Logica della scoperta scientifica rappresenta, ancora oggi, uno degli snodi più significativi per la storia della scienza del Novecento.
(26 maggio 2014)