giovedì 20 aprile 2017

nuove impronte a Laetoli

Gentilissimi,
Vi lascio alla lettura di un articolo, tratto e lievemente modificato dalla newsletter Le Scienze, a cui suggerisco di iscriverVi, relativo alle orme di Laetoli. L'articolo risale al dicembre 2016. Buona lettura. NR

antropologia paleontologia
Nuove orme scoperte a Laetoli cambiano lo scenario su Lucy & famiglia 
di Folco Claudi
La scoperta di nuove impronte, nel sito di Laetoli, effettuata da ricercatori italiani, suggerisce che A. afarensis, la specie a cui apparteneva la famosa Lucy, vissuta in Africa circa 3.6 milioni di anni fa, avesse una struttura sociale simile a quella dei gorilla, specie poligama ad alto dimorfismo sessuale, e non a quella di scimpanzé e bonobo, promiscui, o degli esseri umani moderni
Si conservano solo in circostanze estremamente fortuite e rare, ma quando accade ci regalano un'istantanea di una scena preistorica che racconta molte cose sui suoi protagonisti. Parliamo delle orme fossili di antichi ominidi che possono consentire ai paleoantropologi di ricostruire, anche dopo milioni di anni, non solo molti aspetti biomeccanici della loro locomozione, ma anche dettagli della loro anatomia e delle loro dimensioni, e di definire, di conseguenza, un modello delle loro modalità riproduttive e della loro struttura sociale.
Rappresentazione artistica della camminata dei cinque ominidi che hanno lasciato le impronte nel sito di Laetoli (Credit: Dawid A. Iurino/CC BY 4.0)
Ne sono un esempio le orme di Laeotoli, scoperte nel 1978, dalla paleantropologa Mary Laekley, nell'area protetta di Ngorongoro, in Tanzania, e risalenti a 3,6 milioni di anni fa. Secondo le ricostruzioni, si tratterebbe dei segni lasciati su uno strato di ceneri vulcaniche umide, appena emesse, appartenenti a tre individui di Australopithecus afarensis (la stessa specie della famosa Lucy) di taglie diverse tra loro. Probabilmente era presente un individuo di taglia più grande, il maschio, e due individui più piccoli, la femmina e un cucciolo, che camminavano a stretto contatto. In sostanza, tutto faceva pensare che potesse trattarsi di una piccola famiglia. Ora, grazie a una ricerca, sostenuta dal nostro ministero degli Esteri, e condotta dalla Scuola di Paleoantropologia dell’Università di Perugia, in collaborazione con ricercatori delle Università Sapienza di Roma, di Firenze, di Pisa e di Dar es Salaam, in Tanzania, sono emerse altre orme, attribuite a due individui bipedi, che si muovevano sulla stessa superficie, nello stesso momento e nella stessa direzione, a circa cento metri dalle tracce scoperte negli anni settanta.
Le nuove impronte scoperte da Manzi e colleghi (Credit: Raffaello Pellizzon/CC BY 4.0)
Il dato più importante, ricavato dall'analisi di queste orme, descritto in un articolo apparso su "eLife", è che uno dei due individui aveva dimensioni tali da farlo considerare come il più grande A. afarensis mai descritto: probabilmente era alto 1,65 metri. Se, dunque, la scoperta degli anni settanta faceva pensare a una coppia con un piccolo al seguito, queste nuove orme disegnano una scena diversa, con un gruppo di cinque individui, di cui uno o due in giovane età. “Il dimorfismo sessuale si ricava dalla lunghezza delle impronte e dalla lunghezza del passo”, ha spiegato, a "Le Scienze", Giorgio Manzi, professore di paleoantropologia presso il Dipartimento di biologia ambientale, della Sapienza di Roma, e autore senior dell'articolo, apparso su "eLife". “All'interno del campione che si ottiene, combinando le nostre scoperte con quelle degli anni settanta, si ottengono in totale cinque individui di tre taglie diverse: presumibilmente un maschio, una femmina e individui in età di accrescimento; il dato fondamentale è che tra il presunto maschio e la presunta femmina c'è un grande divario in termini di dimensioni.”. Si tratta quindi di una conclusione che s'inserisce in un quadro di conoscenze, a partire dalla descrizione dell'olotipo, cioè del reperto di riferimento della specie A. afarensis, scoperto proprio nel sito di Laetoli. “In questo senso si tratta di una conferma indipendente”, ha commentato Manzi. “Sul tema esisteva già un vivace dibattito tra i paleoantropologi: da una parte quelli che sottostimano le differenze osservate e dall'altra quelli che invece le valutano appieno; e questo nuovo studio sposta il piatto della bilancia a favore dei secondi.”. Le implicazioni per il modello paleoantropologico di A. afarensis sono diverse. “Agli occhi di un paleoantropologo, il dimorfismo sessuale ha un profondo significato, perché, come emerge da un'ampia mole di dati biologici, richiama alla struttura sociale e alle strategie riproduttive”, sottolinea Manzi.
Una fase degli scavi (Credit: Sofia Menconero/CC BY 4.0)
In breve, la comunità di questi australopitechi doveva essere molto simile a quella dell’attuale gorilla, specie poligama ad alto dimorfismo sessuale, e non a quella di scimpanzé e bonobo, che sono promiscui, né a quella degli esseri umani moderni, che sono prevalentemente monogami. “Insomma, il quadro è molto diverso da quello della 'coppietta romantica' emerso dagli studi di Laekley”, taglia corto il ricercatore. E per il futuro? Si può sperare di trovare altre tracce nella stessa zona? “Certamente sì”, afferma Manzi. “Questo studio è relativo a impronte intercettate in tre sondaggi a 20 metri l'uno dall'altro; la nostra intenzione è congiungere l'intera pista per cercare d'intercettare altri individui e, soprattutto, fare emergere il secondo individuo, la presunta femmina, che per il momento è rappresentato da una sola impronta, a differenza del primo, rappresentato da diverse impronte.”.

(14 dicembre 2016)

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